Centro e periferia: crolla il valore delle case

Dal terrazzo al quarto piano la vista spazia sul Campo Boario e sulle case popolari di Testaccio, costruite a inizio secolo per ospitare gli operai della prima zona industriale della capitale.Dalla strada sale il rumore del traffico in via del Porto Fluviale. Il nuovo edificio residenziale ha cambiato lo skyline del quartiere Ostiense. Dentro, ascensori con comandi touch, codici alfanumerici e video-citofoni. Simone ha comprato la casa quando la costruzione era ancora in corso: «sì, è come nel rendering. Il quartiere sta rinascendo, come le zone portuali di molte città europee». PortoFluviale71 è uno dei 25 nuovi progetti residenziali della capitale, molti sono in centro. I prezzi di vendita di PortoFluviale71 vanno dai 6.500 euro al metro quadro ai 10.000, ben oltre la quotazione massima dell’area, 3.700 secondo l’Agenzia delle Entrate. Circa un terzo degli appartamenti, 185 in tutto, è stato venduto, dice Simone.

A eccezione del settore delle nuove costruzioni di lusso, il mercato immobiliare romano non mostra segnali di ripresa. Dopo il picco dei prezzi nel 2008 le quotazioni continuano a calare con una flessione del -2,09% nel 2018, nonostante l’aumento delle transazioni (+3% nel 2018) con un’offerta di case pressoché invariata nell’ultimo decennio. Secondo Scenari Immobiliari, che registra un deprezzamento complessivo del 7,3% dal 2008, i prezzi nelle zone centrali e semicentrali della capitale sono aumento dal 2013, ma l’analisi si basa su valori nominali teorici. Per quanto riguarda i prezzi reali, i dati dell’Agenzia delle Entrate sono implacabili. Il calo generale dei prezzi non ha risparmiato neanche le zone più centrali e turistiche di Roma, maggiormente svalutate rispetto a zone residenziali centrali e semicentrali come San Saba, Aventino, Monti, Monteverde Vecchio e San Paolo. Neanche il proliferare degli affitti brevi turistici in centro, dove si contano 10.500 appartamenti su Airbnb, sembra influire sulla dinamica di ribasso dei prezzi.

Il calo dei valori aumenta con la distanza dal centro. Enrico Puccini di Osservatorio Casa Roma ha stimato il calo medio delle quotazioni in quattro fasce urbane, su un campione di 10 zone OMI per ciascuna. «La differenza fra centro e periferia è notevole» afferma Puccini. Ribassi di pochi punti percentuali interessano il centro mentre le maggiori flessioni si registrano in periferia, con cali fra il 28 e il 35% a Primavalle, San Basilio, Torre Angela, Tor Bella Monaca e Osta Nord, i quartieri con il maggior numero di case popolari.

In altre zone meno periferiche le cose non vanno meglio. «È un disastro» afferma Celeste, che ha da poco venduto la sua casa a Torpignattara dove il calo è del 19%. «Io non ho risentito troppo della svalutazione perché avevo acquistato la casa 20 anni fa, prima della conversione in euro. Ma per altri qui vendere adesso è un problema. In questa zona i villini, due piani con giardino, potevano costare anche 1 milione e mezzo di euro qualche anno fa. Oggi valgono si e no 900.000 euro. I costi di manutenzione sono troppi, le tasse sono alte, le persone hanno meno soldi e molti vendono. Oggi la gente preferisce spendere 140-160.000 euro per un appartamento da ristrutturare» sostiene Celeste.

Sembra tramontato il mito della residenza individuale. Anche i villini suburbani delle gated communitiesromane pagano la crisi: quartieri come Torre Gaia e Olgiata hanno subito gli stessi deprezzamenti delle zone popolari più periferiche.

La domanda, favorita da tassi d’interesse bassi, è orientata ai beni esistenti: secondo l’Istat nel 2019 solo il 16,6% delle compravendite in Italia ha interessato le nuove costruzioni (era quasi il 35% nel 2010). Il calo dei prezzi delle abitazioni in Italia (-17,2% dal 2010), l’unico paese che non ha agganciato la ripresa dei valori in Europa, è imputabile esclusivamente alle abitazioni esistenti i cui prezzi sono scesi del 23,7% dal 2010. Per le nuove costruzioni la risalita c’è, ma è debole, e le case invecchiando trascinano in basso il mercato.

Dal 2008 la ricchezza in abitazioni nel Lazio, che rappresenta il 90% della ricchezza delle famiglie, si è ridotta di 10 punti percentuali, rispetto alla media italiana del -2,4%, secondo la Banca d’Italia. Se la casa è da sempre un bene-investimento, a Roma la svalutazione incide come divaricatore sociale nella dinamica centro-periferia: «chi ha comprato in periferia sta subendo un deprezzamento importante che non sembra arrestarsi» dice Puccini. É proprio la periferia ad avere la massa maggiore di alloggi dove abitano i due terzi dei residenti romani. Le zone più svalutate sono le periferie ovest ed est di Roma, quest’ultima la più popolosa e con il maggior numero di alloggi di edilizia residenziale pubblica. «Considerando le aree interne al raccordo, il differenziale delle quotazioni 2018 mappate dall’Omi mostrano un asse di crescita nord-sud, più che una dinamica per cerchi concentrici» osserva Puccini.

Se la proprietà è un salvagente, Roma sembra avviata verso il baratro: l’invecchiamento della popolazione oltre che delle case, la contrazione della capacità di risparmio delle famiglie, la precarizzazione del lavoro, l’immissione sul mercato di case ereditate, di case degli enti e di alloggi pubblici dismessi, sono elementi che sembrerebbero indicare una potenziale riduzione della domanda a fronte di un aumento dell’offerta, quindi prezzi ancora giù. Ma, nonostante la disponibilità di alloggi e il calo molto marcato dei canoni di affitto, l’emergenza abitativa non diminuisce. «Il calo degli affitti, con punte del -40% nell’ultimo decennio, non incide sulla fascia bassa della domanda, quella che non può pagare 800 euro di affitto – sostiene Puccini – L’assenza di un’offerta intermedia fra i canoni di mercato e gli alloggi popolari per famiglie a basso reddito e nuclei unipersonali resta un problema».

«Bisogna ripartire dalle periferie – sostiene Puccini – perché la periferia sta cedendo, da un punto di vista sociale ed economico. Se il centro ha resistito al deprezzamento delle proprietà private, il valore immobiliare complessivo a Roma risulta negativo “per colpa” delle periferie. I valori sono crollati nei quartieri con le quote maggiori di proprietà pubblica e in quelli limitrofi, interessati dai piani di zona. I quartieri di case popolari, anche a causa del deficit di manutenzione e per la loro composizione sociale, diventano i punti più complessi della città e rischiano di generare spirali involutive in interi comparti. Bisogna tornare a investire sulla periferia. La legge regionale sulla rigenerazione urbana consente premi di cubatura indifferenziati slegati dalla rendita del luogo – prosegue Puccini – Così le operazioni di rigenerazione avvengono dove ce n’è meno bisogno, dove la svalutazione è minore e il ritorno di investimento più sicuro: in centro. Ma è in periferia che bisogna intervenire, con una strategia pluriennale condivisa con la città che guidi l’intervento pubblico nei prossimi anni, che purtroppo oggi manca. Eppure proprio il fatto che molta della proprietà qui è pubblica renderebbe l’intervento molto più agevole». Una vera rinascita, insomma, potrà partire solo dalle periferie.

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